martedì 23 novembre 2010

Ma lo sa che lei ha una bella interfaccia?

Negli ultimi tempi sono affascinato dall’interfaccia. Ovvero: quella parte di un oggetto complesso su cui agisce l’uomo per ottenere il comportamento desiderato.


Nel campo dei trasporti si trovano gli esempi più semplici. L’automobile ha ad esempio un’interfaccia standardizzata per cui, su qualunque modello di auto si salga, sarà relativamente facile riuscire a gestire direzione, velocità, ecc. Questo grazie a dei dispositivi che trasformano le intenzioni dell’uomo in comportamenti della macchina. Il volante, ad esempio, è il dispositivo grazie al quale dico all’auto se deve girare a destra o a sinistra, il freno è il dispositivo con cui limito la velocità, l’acceleratore quello con cui la aumento, e via discorrendo.


Se invece di salire su un’automobile, salgo in un piccolo aereo, trovo comandi piuttosto diversi, perché il comportamento delle macchina è legato a situazioni differenti. Se infatti l’auto, appoggiata al suolo, può ruotare solo a destra e a sinistra, l’aeroplano, sospeso in aria, ruota su tre assi, attraverso dispositivi più complessi e meno intuitivi, come il timone e gli alettoni. Come nell’auto si può accelerare dando gas al motore ma, al contrario dell’auto, non basta tirare i freni per fermarsi: si può tutt’al più rallentare… Ma sempre con lo scopo finale di atterrare!


L’interfaccia di un natante, ad esempio una piccola barca a vela, è ancora diversa. Qui il “medium” in cui ci si muove è l’acqua e il propulsore è il vento. Per accelerare bisogna trovare il modo migliore di disporre le vele al vento e poi “stringerlo”, tramite diversi dispositivi che spesso hanno la forma di una cima. Si può far ruotare la barca, come l’auto, solo a destra e sinistra (anche se il timone gira al contrario… ma basta fare esperienza e anche questo diventa automatico). Anche qui, per frenare non basta tirare una leva: bisogna disporsi in modo da ricevere nella maniera peggiore il vento, evitando però movimenti bruschi che posso portare a capovolgere lo scafo!


 Il campo dei software è quello in cui negli ultimi anni si è fatto maggior uso del concetto di interfaccia, perché una buona parte dell’uso di una cosa così volatile come il software è basata su come l’uomo possa dare, con una certa facilità, comandi alla macchina. Se le palette o gli strumenti di Photoshop fossero troppo astrusi e complessi, chi riuscirebbe mai ad utilizzarli? Anche dal punto di vista hardware, non c’è da meravigliarsi se le tastiere fanno sembrare i pc delle macchine da scrivere evolute: l’interfaccia della macchina da scrivere funziona ancora oggi dopo un secolo e mezzo dalla sua invenzione e quindi la si usa ancora. Il mouse, al contrario, è un dispositivo che nasce con i pc (anzi, con i Mac!). Niente di strano, quindi, se ancora la tavoletta grafica con il suo stilo senza inchiostro richiama palesemente le tavolette di cera che usavano i romani per scrivere: ancora questo è il metodo migliore per trasferire, attraverso la mano, un disegno dal cervello di un uomo alla memoria di una macchina.


Mano a mano che gli oggetti diventano più semplici, l’interfaccia si assottigliafino a diventare quasi trasparente. Eppure c’è. Il semplice fatto di accendere un cerino implica la presenza della parte in legno del cerino che serve a tenerlo nelle dita mentre la capocchia si accende durante lo sfregamento, evitando (nel possibile!) di scottarsi. L’interfaccia di una poltrona sembra non essere necessaria eppure è lì: c’è sempre una parte piana (e si spera morbida!) dove appoggiare le terga, come pure una parte verticale a cui appoggiare la schiena, i braccioli per le braccia e così via. Le foto che ritraggono gli ironici tentativi di Munari di rendere comoda una poltrona scomoda sono esempi molto chiari di come questa interfaccia possa essere completamente travisata provocando posizioni di seduta molto originali (e molto scomode!).
 (Bruno Munari)

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