mercoledì 24 novembre 2010

COS'E'



secondo me è uno dei motivi creativi di Ettore Sottsass, si chiama "bacterio" e viene utilizzato su vari oggetti realizzati da lui, (diciamo che secondo me è tipo una firma infatti molti oggetti di design realizzati da lui esibiscono questo motivo) l'immagine in questione è una scarpa adidas, una serie limitata.

COS'E'


secondo me è un numero inciso su un edificio fotografato da ettore sottsass e inserito nell'editoriale domus (foto dal finestrino) l'immagine è ben visibile nel sito pilota ceciliapolidoridesign-lezioni.blogspot.com.

martedì 23 novembre 2010

GAETANO PESCE



“Vi racconto la mia idea di prodotto”
Un trionfo di colori con il rosso che sovrasta, un cesto stracolmo di prodotti dell’orto, pane, formaggi, gli ingredienti semplici con cui prepariamo quotidianamente il nostro mangiare messi lì sospesi sul piano cottura, dove a pensarci bene, è naturale che siano.
L’incarico a Gaetano Pesce di interpretare un prodotto industriale attraverso l’estro sperimentale della sua creatività è stato dato dalla Fondazione Ermanno Casoli, pensando alla cucina di una sua architettura recentemente realizzata, il Pescetrullo.
Un ulteriore modo per la Fondazione dedicata alla memoria del fondatore di Elica di perseguire il suo obiettivo principale di far dialogare l’arte con l’industria.
Pescecappa evoca il viaggio in una memoria intima profusa di atmosfere domestiche, tradotta con un linguaggio che, attraverso l’uso di materiali innovativi, guarda al futuro, ma chiama a raccolta con l’immaginazione tutti gli ingredienti che evocano da secoli il cibo, li trasforma in un oggetto inconsueto carico di allegria e calore.
Effetto choc per chi associa il design alla purezza delle linee, al rigore, alla bellezza “composta” e alle  geometrie astratte, ma saper leggere il messaggio di questa cappa vuol dire fare un passo verso ciò che Pesce concepisce come il prodotto industriale del futuro, un oggetto che, contravvenendo alla serialità della catena di montaggio, permetta al consumatore di intervenire sulla forma estetica finale.
L’architetto Gaetano Pesce lo racconta ai dipendenti nell’auditorium Elica della sede di Fabriano in una mattina di fine luglio. Manager, impiegati, progettisti e prototipisti riuniti per ascoltare dalla voce del suo “creatore”, la genesi di Pescecappa raccontata attraverso la storia degli oggetti da lui realizzati dagli anni ’70 in poi, rendendolo un grande protagonisti del design italiano e uno dei più conosciuti in ambito internazionale.
“La creatività fine a se stessa non serve a niente, ma acquista valore quando sa offrire qualcosa di utile”. Con questa affermazione Pesce inizia un viaggio nella sua storia di architetto e designer alla continua ricerca di linguaggi inediti sperimentali e ricchi di contaminazioni. 
Gli oggetti che hanno segnato il suo percorso professionale sono anche quelli nel quale si identifica da trent’anni uno stile unico nel design, nella progettazione architettonica, nella creazione di accessori personali come i gioielli: il suo lavoro spazia continuamente alla ricerca di forme e materiali che sappiano comunicare concretezza, perché, come egli stesso precisa,  “con l’astrazione non si può comunicare”.
Una concretezza sempre originale di cui il pubblico coglie immediatamente il valore.
Per Pesce la bellezza di un oggetto è nel suo essere unico e, in un mondo standardizzato, la possibilità di realizzare un prodotto connotato da elementi personali diventa  indispensabile per affermare un concetto di individualità spesso sacrificato. “Per la produzione industriale” spiega Pesce “è finita l’epoca delle copie tutte uguali e siamo entrati nell’epoca dei pezzi unici, che si possono ottenere anche con una sofisticata produzione seriale”.
Per Pesce la terza rivoluzione industriale sarà quella che aprirà il mercato all’oggetto personalizzato, in parte intuita dall’industria automobilistica, e le aziende che sapranno entrare velocemente in questa nuova logica ne trarranno un sicuro vantaggio.
La persona tornerà ad essere il fulcro dell’attività produttiva del futuro prossimo, l’individuo infatti, è il detentore indiscusso di quell’umanità imperfetta che arricchisce esteticamente il contenuto degli oggetti, che proprio attraverso l’errore e il caso diventano unici e irripetibili. Il valore di ciò che è diverso tornerà ad affermarsi nella produzione in opposizione ad un mondo globalizzato che tende ad uniformare tutto.
Pescecappa nella sua unica e straordinaria originalità può considerarsi come il manifesto più esplicito di questo pensiero innovativo.












ANDREA BRANZI






Andrea Branzi è nato a Firenze nel 1938. laureatosi in Architettura nel 1966, vive e lavora a Milano dal 1973. Egli è uno dei protagonisti del radicale dell'architettura italiana e ha contribuito alla fondazione del gruppo Archizoom, che egli era un membro del 1964-1974. In questo contesto ha sviluppato il progetto No-Stop-City (1962-1972), infinito "qualità-less", città in cui arredo urbano è l'unico elemento architettonico. Dal 1974 al 1976 Branzi è diventato un membro della Global Tools, contro-scuola di architettura e design, continuando a collaborare con studi di design industriale e d'avanguardia (Alchimia e Memphis), prendendo un interesse per la ricerca di design e di promozione, che per lui implica nuove relazioni tra l'uomo e gli oggetti. E 'stato il membro fondatore della scuola Domus Academy di specializzazione, che ha diretto per alcuni anni, e direttore della rivista Modo. Nel 1987 gli viene assegnato il Compasso d'Oro per i suoi successi. E 'autore di pubblicazioni come La Casa Calda (1982), Animali Domestici: lo stile neo-primitivo (1986), Nouvelle de la Métropole foide (1991), e "Il Design italiano. 1964-1990 (1996), ed è stato anche commissario di numerose mostre.

ALDO CIBIC



Nato a Schio (Vicenza) nel 1955, nel 1979 Aldo Cibic si trasferisce a Milano dove conosce
Ettore Sottsass. L’anno dopo, sotto la guida di Sottsass, nasce il gruppo di designer
Memphis: Cibic è uno dei soci fondatori insieme a Martine Bedin, Michele De Lucchi, Matteo
Thun, Nathalie Du Pasquier, Marco Zanini, allora tutti poco più che ventenni. Intorno a loro
ruotano nomi come Andrea Branzi, Michael Graves, Arata Isozaki, per un collettivo che
rompe le regole e sperimenta l'accostamento ardito di materiali non tradizionali, forme
storiche, motivi kitsch.
Nel 1989 Cibic lascia Memphis e inizia l'attività in proprio, sviluppando un linguaggio più
incline all'armonia delle idee e all'equilibrio delle proporzioni. Insieme a Luigi Marchetti,
Antonella Spiezio, Chuck Felton nasce Cibic&Partners: Cibic disegna e produce
direttamente una propria linea di oggetti e arredi esplicitamente rivolti a migliorare qualità
della vita di tutti i giorni: è il progetto Standard.
Da allora la sua attività si è estesa tra interior, product ed exhibit design, fino all’architettura
in grande scala. Cibic ha insegnato alla Domus Academy di Milano, al Politecnico, a
Fabrica, allo IUAV di Venezia, alla Royal Vollege of Art a Londra e alla Tongji University di
Shanghai. Attualmente ha due studi, uno a Milano e l’altro ad Arcugnano dove ha sede
anche il Workshop permanente cui ha dato vita da alcuni anni.

Aldo Cibic - da Sottsass a Standard

ETTORE SOTTSAS


ETTORE SOTTSASS NASCE A INNSBRUCK, IN AUSTRIA NEL 1917. SI LAUREA IN ARCHITETTURA AL POLITECNICO DI TORINO NEL 1939. NEL 1947 APRE A MILANO UNO STUDIO PROFESSIONALE DOVE SI OCCUPA DI PROGETTI DI ARCHITETTURA E DI DESIGN.
IN PARALLELO CON LA SUA PRODUZIONE PROGETTUALE SVILUPPA LA SUA ATTIVITÀ CULTURALE. ETTORE SOTTSASS PARTECIPA A DIVERSE EDIZIONI DELLA TRIENNALE DI MILANO, ESPONE IN MOSTRE COLLETTIVE E PERSONALI IN ITALIA E ALL'ESTERO.
NEL 1958 INIZIA LA SUA COLLABORAZIONE CON OLIVETTI COME CONSULENTE PER IL DESIGN, COLLABORAZIONE CHE DURERÀ PER OLTRE TRENT' ANNI E CHE GLI FRUTTERÀ TRE COMPASSI D'ORO PER IL DESIGN. HA DISEGNATO TRA L'ALTRO, NEL 1959, IL PRIMO CALCOLATORE ELETTRONICO ITALIANO, E IN SEGUITO VARIE PERIFERICHE E MACCHINE PER SCRIVERE ELETTRICHE E PORTATILI COME PRAXIS, TEKNE, E VALENTINE.
DOPO UN LUNGO GIRO DI CONFERENZE NELLE UNIVERSITÀ INGLESI, NEL 1976 GLI É STATA CONFERITA LA LAUREA HONORIS CAUSA DAL ROYAL COLLEGE OF ART DI LONDRA.
NEL 1981 HA DATO INIZIO, CON COLLABORATORI, AMICI E ARCHITETTI DI FAMA INTERNAZIONALE AL GRUPPO MEMPHIS, CHE È DIVENTATO IN BREVE IL SIMBOLO DEL 'NUOVO DESIGN' E UN RIFERIMENTO PER LE AVANGUARDIE CONTEMPORANEE. UN ANNO DOPO HA FONDATO LO STUDIO SOTTSASS ASSOCIATI CON IL QUALE PROSEGUE LA SUA ATTIVITÀ DI ARCHITETTO E DESIGNER.
SUE OPERE E PROGETTI FANNO PARTE DELLE COLLEZIONI PERMANENTI DI IMPORTANTI MUSEI DI VARI PAESI, COME: MUSEUM OF MODERN ART DI NEW YORK, METROPOLITAN MUSEUM DI NEW YORK, CENTRE GEORGES POMPIDOU DI PARIGI, MUSÉE DES ARTS DÉCORATIFS DI PARIGI, VICTORIA & ALBERT MUSEUM DI LONDRA, IL MUSÉE DES ARTS DÉCORATIFS DI MONTREAL, ISRAEL MUSEUM DI GERUSALEMME, NATIONAL MUSEUM DI STOCCOLMA, ECC...
TRA GLI ULTIMI RICONOSCIMENTI CHE GLI SONO STATI CONFERITI SI SEGNALANO: NEL 1992 LA NOMINA A OFFICIER DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES DELLA REPUBBLICA FRANCESE, NEL 1993 LA LAUREA HONORIS CAUSA DALLA RHODE ISLAND SCHOOL OF DESIGN NEGLI STATI UNITI, NEL 1994 IL PREMIO IF AWARD DESIGN DALL'INDUSTRIE FORUM DESIGN DI HANNOVER, NEL 1996 LA NOMINA A HONORARY DOCTOR DEL ROYAL COLLEGE OF ART DI LONDRA E L'AWARD PRIZE DAL BROOKLYN MUSEUM DI NEW YORK, NEL 1997 L'ORIBE AWARD DALLA CITTÀ DI GIFU IN GIAPPONE, NEL 1999 LA LAUREA AD HONOREM DALLA GLASGOW SCHOOL OF ART, NEL 2001 LE LAUREE AD HONOREM DAL LONDON INSTITUT OF ART E DAL POLITECNICO DI MILANO.
SEMPRE NEL 2001 È STATO NOMINATO GRANDE UFFICIALE PER L'ORDINE AL MERITO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA.

sedia Emeco




La leggendaria e indistruttibile sedia Emeco si ammorbidisce, si colora e si ingenerosisce nelle forme. Capita al Salone del Mobile , anzi, un po' prima, tra lo studio milanese di Ettore Sottsass e il quartier generale diEmeco a Chicago, in un percorso mirato a rivisitare la sedia senza frivolezze in alluminio riciclato, nata nel 1944 per arredare i sottomarini della marina militare americana.
Ettore Sottsass , mancato da pochi mesi all'età di 90 anni nella sua casa di Milano, fu il primo a trapiantare nel suo studio le forme smussate della picccola sedia di metallo, a coprirne la seduta con un cuscino per renderla meno rigida e a trasformarla in uno delle sedie ad uso domestico più apprezzate. 
La sua collaborazione con Emeco, in corso da otto anni, ha permesso di dare vita a "Nine-0", una linea di sedie sgabelli, poltrone girevoli, che propongono una versione "addomesticata" della linea classica Emeco e ricca di colori accesi. Portando così la firma, indelebile, del grande designer.



Bruno Munari


Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai problemi della vita interessa solo a poche persone. È necessario oggi, in una civiltà che sta diventando di massa, che l’artista scenda dal suo piedistallo e si degni di progettare l’insegna del macellaio (se lo sa fare).
Questa frase, tratta da Arte come mestiere (1966) di Bruno Munari (1907-1998), condensa in poche righe le idee e l’attività dell’artista, una tra le figure piu’ importanti del design e dell’arte del XX secolo. Previsti Laboratori didattici per le scuole e le famiglie secondo il Metodo Bruno Munari, che , attraverso l’osservazione e il fare manuale, vuole sviluppare la progettualità in modo pratico, diretto.

Ma lo sa che lei ha una bella interfaccia?

Negli ultimi tempi sono affascinato dall’interfaccia. Ovvero: quella parte di un oggetto complesso su cui agisce l’uomo per ottenere il comportamento desiderato.


Nel campo dei trasporti si trovano gli esempi più semplici. L’automobile ha ad esempio un’interfaccia standardizzata per cui, su qualunque modello di auto si salga, sarà relativamente facile riuscire a gestire direzione, velocità, ecc. Questo grazie a dei dispositivi che trasformano le intenzioni dell’uomo in comportamenti della macchina. Il volante, ad esempio, è il dispositivo grazie al quale dico all’auto se deve girare a destra o a sinistra, il freno è il dispositivo con cui limito la velocità, l’acceleratore quello con cui la aumento, e via discorrendo.


Se invece di salire su un’automobile, salgo in un piccolo aereo, trovo comandi piuttosto diversi, perché il comportamento delle macchina è legato a situazioni differenti. Se infatti l’auto, appoggiata al suolo, può ruotare solo a destra e a sinistra, l’aeroplano, sospeso in aria, ruota su tre assi, attraverso dispositivi più complessi e meno intuitivi, come il timone e gli alettoni. Come nell’auto si può accelerare dando gas al motore ma, al contrario dell’auto, non basta tirare i freni per fermarsi: si può tutt’al più rallentare… Ma sempre con lo scopo finale di atterrare!


L’interfaccia di un natante, ad esempio una piccola barca a vela, è ancora diversa. Qui il “medium” in cui ci si muove è l’acqua e il propulsore è il vento. Per accelerare bisogna trovare il modo migliore di disporre le vele al vento e poi “stringerlo”, tramite diversi dispositivi che spesso hanno la forma di una cima. Si può far ruotare la barca, come l’auto, solo a destra e sinistra (anche se il timone gira al contrario… ma basta fare esperienza e anche questo diventa automatico). Anche qui, per frenare non basta tirare una leva: bisogna disporsi in modo da ricevere nella maniera peggiore il vento, evitando però movimenti bruschi che posso portare a capovolgere lo scafo!


 Il campo dei software è quello in cui negli ultimi anni si è fatto maggior uso del concetto di interfaccia, perché una buona parte dell’uso di una cosa così volatile come il software è basata su come l’uomo possa dare, con una certa facilità, comandi alla macchina. Se le palette o gli strumenti di Photoshop fossero troppo astrusi e complessi, chi riuscirebbe mai ad utilizzarli? Anche dal punto di vista hardware, non c’è da meravigliarsi se le tastiere fanno sembrare i pc delle macchine da scrivere evolute: l’interfaccia della macchina da scrivere funziona ancora oggi dopo un secolo e mezzo dalla sua invenzione e quindi la si usa ancora. Il mouse, al contrario, è un dispositivo che nasce con i pc (anzi, con i Mac!). Niente di strano, quindi, se ancora la tavoletta grafica con il suo stilo senza inchiostro richiama palesemente le tavolette di cera che usavano i romani per scrivere: ancora questo è il metodo migliore per trasferire, attraverso la mano, un disegno dal cervello di un uomo alla memoria di una macchina.


Mano a mano che gli oggetti diventano più semplici, l’interfaccia si assottigliafino a diventare quasi trasparente. Eppure c’è. Il semplice fatto di accendere un cerino implica la presenza della parte in legno del cerino che serve a tenerlo nelle dita mentre la capocchia si accende durante lo sfregamento, evitando (nel possibile!) di scottarsi. L’interfaccia di una poltrona sembra non essere necessaria eppure è lì: c’è sempre una parte piana (e si spera morbida!) dove appoggiare le terga, come pure una parte verticale a cui appoggiare la schiena, i braccioli per le braccia e così via. Le foto che ritraggono gli ironici tentativi di Munari di rendere comoda una poltrona scomoda sono esempi molto chiari di come questa interfaccia possa essere completamente travisata provocando posizioni di seduta molto originali (e molto scomode!).
 (Bruno Munari)

“Design: un metodo progettuale per cercare di risolvere bisogni collettivi.” (Bruno Munari)     


                                                                                
Il pensiero e la visione di Bruno Munari sulla definizione ed il ruolo del design nella contemporaneità sono  ancora un punto di riferimento di straordinaria attualità ed un indispensabile strumento nell’ambito della cultura del progetto e dell’economia creativa.
Bruno Munari   definisce il design come “modo di progettare ,un modo che pure,essendo libero come la fantasia ,esatto come l’invenzione ,comprende tutti gli aspetti di un problema, non solo l’immagine come la fantasia, non solo la funzione come l’invenzione , ma anche l’aspetto psicologico, quello sociale, economico, umano. Si può parlare di design come progettazione di un oggetto, di un simbolo, di un ambiente, di una nuova didattica , di un metodo progettuale per cercare di risolvere bisogni collettivi